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È molto evidente che nel nostro Paese, come in molti altri, il passare del tempo sta raffreddando la preoccupazione e la solidarietà con il popolo ucraino. Un po’ per stanchezza, ma tante volte perché sentiamo un senso di fastidio, di inquietudine che non vorremmo provare, specialmente in vista delle vacanze e della voglia di mettersi alle spalle due anni di crisi pandemica.

Il dolore di questo popolo ci spaventa, ci infastidisce, rompe i nostri piani di “pace” e di “serenità”, vorremmo zittirlo per non sentire il suo “grido”. Siccome non possiamo metterlo a tacere, allora spesso scegliamo la via più facile e trasformiamo questo popolo martoriato in “carnefice di sé stesso”, lo colpevolizziamo per non essere interpellati e smossi dal suo grido. Lo facciamo diventare causa del male, addirittura complice e non più vittima quale è, così che possiamo continuare a vivere in “pace” e raffreddare la nostra preoccupazione e la nostra inquietudine.

Ed ecco che girano frasi come: “in fondo se la sono cercata!”, “perché non cedono alla Russia e fanno smettere questo massacro?”, “ma si sapeva che l’Ucraina è sempre stata della Russia, cosa si aspettavano che non avrebbe reagito?” “in fondo è colpa loro, io cosa posso farci?” e altre del genere. In realtà, a mio parere, stiamo cercando non la pace per l’Ucraina, ma la “nostra pace”, anzi meglio, cerchiamo “di stare in pace”.

Papa Francesco cerca di tenere viva la preoccupazione e la solidarietà con il popolo martoriato dell’Ucraina invitando i cristiani, e non solo, a non gettar nel dimenticatoio questa immane tragedia della nostra Europa.

Già domenica scorsa 12 giugno all’Angelus recitava queste parole:

È sempre vivo nel mio cuore il pensiero per la popolazione ucraina, afflitta dalla guerra. Il tempo che passa non raffreddi il nostro dolore e la nostra preoccupazione per quella gente martoriata. Per favore, non abituiamoci a questa tragica realtà! Abbiamola sempre nel cuore. Preghiamo e lottiamo per la pace.”

E anche all’Angelus di ieri, 19 giugno, ha continuato con questa esortazione:

E non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino in questo momento, popolo che sta soffrendo. Io vorrei che rimanga in tutti voi una domanda: cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Prego? Mi do da fare? Cerco di capire? Cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Ognuno risponda nel proprio cuore.”

Quindi le domande da cui farci interpellare nel profondo potrebbero essere: Cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Non per me, per stare più tranquillo io, ma per loro. Se è per loro, li ascolto veramente? Mi metto nei loro panni? O ascolto solo me stesso, quello che presumo di sapere?

Autore: Dino Sbreglia, sociologo e Coordinatore Generale dell’AIS Seguimi onlus