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di Guido Barbera, Presidente del CIPSI 

 «Oggi non c’è tempo per l’indifferenza. Non possiamo lavarcene le mani, con la distanza, con la non-curanza, col disinteresse. O siamo fratelli, o crolla tutto. È la frontiera sulla quale dobbiamo costruire; è la sfida del nostro secolo, è la sfida dei nostri tempi. Oggi la fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità. O siamo fratelli o ci distruggiamo a vicenda.” (Papa Francesco)

 

La complessa situazione che il mondo contemporaneo sta attraversando, ci spinge a mantenere un atteggiamento di vigilanza, spesso sconcertati di fronte agli avvenimenti tante volte inediti, che interpellano le coscienze, indignano e lanciano sfide, ma senza mai perdere la speranza. Sono tanti, troppi, i teatri di guerre attivi, tutti ingiusti e crudeli, in tanti Paesi, con conseguenze drammatiche, spesso ingestibili, tra cui i silenziosi ed infiniti flussi migratori. Viviamo in una profonda crisi di valori umani ed etici. Non diminuisce la crisi economica con tutti i suoi effetti e conseguenze, la corruzione, il traffico di armi e di persone, lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, il depauperamento continuo dei beni comuni che porta dietro di sé non solo ingenti danni all’ambiente, ma anche povertà estrema e miseria crescente per intere popolazioni. Siamo circondati sempre più da molte persone che vivono in profonda solitudine e dolore, che hanno paura, insicurezza, fino talvolta ad arrivare a sofferenza ed aggressività. Oggi però, viviamo soprattutto in una società malata di una profonda crisi della cultura della relazione. Dalla piccola dimensione della famiglia, al grande palcoscenico mondiale. Una rottura di relazioni che maturava da tempo e che affonda le sue radici in un problema collettivo, ma anche individuale, di identità. Chi sono io? Chi siamo noi? Quando non sappiamo rispondere a queste domande è difficile dire che la nostra identità sta nella relazione. Come scriveva il filosofo Lévinas, “l’identità non è nell’io, ma nella relazione”. L’identità non viene da noi stessi, ma dalla relazione con gli altri. Se noi neghiamo la relazione, non abbiamo più la “società”. Dobbiamo quindi ripartire dalla ricostruzione di un legame sociale e, soprattutto, diffondere il principio di reciprocità, cioè “educare alla reciprocità”. Il nostro servizio non può essere una semplice manovalanza in situazioni emergenziali, quanto piuttosto deve essere testimonianza e proposta di uno stile di vita nuovo, fraterno e solidale, in grado di mantenere lo sguardo vigile ed attento sulle necessità dei fratelli e delle sorelle di tutto il mondo, a partire dalle persone migranti. La recessione spaventa. I senzatetto non contano nulla. Le mense vengono chiuse perché pericolose. Forse, dovremmo chiederci se morire di fame o di freddo, è meno significativo, che morire di Coronavirus. Stiamo distruggendo nel menefreghismo e nel silenzio generale, politico e sociale, l’unico ambiente in cui siamo obbligati a vivere tutti. Abbiamo spezzato le relazioni umane, distrutto valori, diritti e doveri, anteponendo l’interesse personale alla comunità. Abbiamo avvelenato la vita sociale trasformandola in un conflitto dilagante di tutti contro tutti, annullando ogni riferimento educativo, politico e sociale. I genitori non dialogano più tra loro; non hanno più tempo per parlare con i figli, per giocare con loro, per accompagnarli nella loro crescita. Politici e giornalisti alimentano la paura e il conflitto, tra interessi, disinformazione e fake news.

Ora, è tempo di scegliere. Di svegliarci. Di liberarci dalle chiacchiere e dagli infiniti proclami di campagne elettorali senza fine, dagli insulti e dalle divisioni, dalle promesse. Individualmente siamo fragili: nessun partito o politico, ci può tutelare.

Dovrebbero essere i costruttori della “autentica comunitas” e sono diventati invece fonti di conflitto, divisione e paura.

Questa fragilità individuale ci rende invece umani, perché la nostra umanità ci chiede di convivere e cooperare in “comunità”, costruendo le possibilità e capacità del vivere insieme, di affrontare e risolvere i problemi insieme. Il vivere insieme, il convivere, ci trasforma in anticorpi vincenti contro qualsiasi virus, conflitto, divisione, competizione. Discriminazione, divisione, conflittualità, sono fondamenta della nostra debolezza.

La fraternità si traduce in concreto nell’atteggiamento del servizio, nel donarsi per il bene comune. Fratellanza, condivisione, solidarietà, giustizia, pace, diritti sono le pietre d’angolo per una nuova umanità. Non possiamo permetterci di arrivare ad una società del tutti contro tutti. Sarebbe la pandemia più tragica della storia dell’umanità.

Dobbiamo reagire e ripartire insieme. La solidarietà e la fraternità ci chiamano a qualcosa di più che una serie di azioni benefiche: esprimono concretamente nuove relazioni di convivenza, di prossimità di promozione.

Per affrontare queste grandi sfide che abbiamo davanti a noi, ci vuole tanta umiltà, necessaria per leggere e interpretare il cambiamento. Non è facile apprezzare il valore dell’umiltà mentre impazza il bisogno spasmodico, quasi esistenziale, di affermare se stessi in ogni dove e con ogni mezzo. Eppure, l’umiltà è l’unica chiave per guardare avanti: perché vuol dire consapevolezza delle difficoltà e dei propri limiti, ma anche coraggio e tenacia. Umiltà vuol dire non abbassare mai la testa davanti a niente e nessuno, ma anche capacità di chinarsi sino a terra e condividere la condizione dei più deboli e vulnerabili.

È sempre più diffuso oggi il fare riferimento al “lavorare insieme” o al concetto di: “lavorare in rete”. Ma cosa significa veramente? La Rete non è semplicemente un insieme. Alla radice di una Rete, c’è un principio di appartenenza. Appartenenza ad un sistema di relazioni e vincoli che ne determinano le possibilità e le opportunità. Possiamo scegliere se collaborare o meno, se scambiare informazioni ed interagire in modo formalizzato, ma il sistema di relazioni e di vincoli definisce, di fatto, la possibilità o meno di collaborare, di avere, ricevere e usufruire di certe informazioni, di scambiare risorse, di poter o meno costruire partnership o collaborazioni. Non ultimo, attivare collaborazioni e interazioni con altri soggetti e altre organizzazioni può essere una strada importante per confrontarsi con letture, conoscenze e competenze differenti, ma strategiche per riuscire a conoscere e comprendere, in modo quanto più articolato e denso, le persone e i problemi di cui sono portatrici. Stare in rete diventa, quindi, un’opportunità importante per accrescere e sviluppare una conoscenza quanto più ampia, aggiornata e complessa dei problemi e dei territori nei quali si interviene e per poter quindi progettare strategie di lavoro e di intervento efficaci, non solo nella risposta ai bisogni più specifici, ma anche nell’agire sulla rimozione di alcune delle cause e dei fattori che generano questi bisogni. Oggi i problemi sono sempre più complessi e chiedono strategie e approcci complessi, che sappiano integrare competenze differenti.

La cooperazione internazionale, le OSC (Organizzazioni della Società Civile) e tutto il Terzo Settore, oggi, sono bersaglio di una politica di interessi, sempre più aggressiva e meno attenta alle persone, sempre più “burocratizzata” e meno attenta ai valori e agli effetti sui diritti e sul bene comune delle persone e dell’umanità intera. Anche al concetto di cooperazione viene contrapposto lo scenario della competizione, del “noi” contro “loro”, dei penultimi contro gli ultimi. Questa difficile situazione rappresenta però, anche un’occasione unica per tornare a riflettere sui nostri valori e per capire nuovamente perché facciamo cooperazione internazionale.

Facciamo cooperazione perché insieme si ottengono risultati migliori, che non agendo da soli. Detto in altri termini, con la saggezza dei proverbi africani: “un solo dito non può raccogliere il sasso” o come dice Papa Francesco, perché “siamo tutti sulla stessa barca”.

Facciamo cooperazione perché lavorare insieme è più divertente e la diversità ci permette di crescere meglio. Lo vediamo ogni anno nel lavoro con i giovani o dove incontriamo culture diverse dalla nostra che ci cambiano, ci aiutano a crescere, a comprendere la realtà e a vivere meglio. Il vero senso della cooperazione non sta nel solo e semplice trasferimento di risorse, tantomeno nell’aiutare o nel fare qualcosa per nostro interesse, di qualunque tipo esso sia, ma nello scambio che si realizza lavorando insieme, che permette a tutti di diventare più colti, più forti, più ricchi. Facciamo cooperazione internazionale perché crediamo nell’uguaglianza e nella fratellanza di tutti gli esseri umani.

Come diceva don Milani, “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è: politica. Sortirne da soli è: avarizia”. Questo è il passaggio più complesso, perché nei momenti difficili tornano sempre i discorsi delle piccole patrie, del “prima noi”, come se si stesse parlando di privilegi destinati innanzitutto a chi è vicino e solo dopo a chi è lontano, quando invece si tratta di diritti che spettano a tutti, allo stesso modo e contemporaneamente.

I diritti, appunto, sono la chiave della nuova cooperazione internazionale. Facciamo cooperazione perché difendere i diritti delle persone lontane da noi significa difendere i diritti di tutti, anche i nostri. Non dobbiamo mai dimenticare, affermava Papa Giovanni Paolo II, che l’essere umano deve essere sempre un fine, mai un mezzo, un soggetto e non un oggetto, né un prodotto di mercato”.

Scarica larticolo pubblicato sul N. 42 Giugno 2021 di Seguimi News (formato pdf)