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di Anna Chiarini Monticone, volontaria di Seguimi

Quando circa un anno fa è cominciata la pandemia ed è stato necessario ricorrere al lockdown io, da brava ex prof di italiano, ho brontolato per l’uso di un termine inglese, quando nella nostra bella lingua esiste la parola quarantena. Però col passare del tempo – un po’ troppo tempo – mi sono resa conto che il termine quarantena per il Covid è del tutto inadeguato: non basterebbe una trecentosessantacinquena, visto che dopo un anno abbondante siamo ancora spesso e non proprio volentieri chiusi in casa in isolamento, o nel comune o nella regione in cui viviamo.

E anche se a me suona un po’ come “chiudili dentro e butta la chiave” mi sono adattata anch’io a parlare di lockdown.

Del resto in questi dodici o tredici mesi ci siamo adattati a tante cose impensabili fino al Natale 2020: girare mascherati, sterilizzarsi continuamente le mani, salutarsi da lontano – personalmente trovo poco gentile prendermi a gomitate col prossimo – non festeggiare la Pasqua e il Natale di quest’anno con la famiglia riunita, non incontrarsi con gli amici, non andare dal parrucchiere, al bar, al ristorante. Non è necessario essere dei fanatici dell’apericena per gustare un tè freddo d’estate o una cioccolata calda d’inverno o una pizza con Alberto.

Ma la cosa peggiore per noi anziani (si fa per dire, proprio vecchi) è stata come riempire le giornate diventate ogni giorno più lunghe e più vuote. Certo, c’è la telefonata ai figli e ai nipoti, ma quanto dura? In casa i libri non mancano, ma non si può leggere dalla mattina alla sera per tredici o quattordici mesi. I pavimenti e i vetri delle finestre sembrano chiedere pietà quando prendo stracci e strofinacci. Cucinare per due non richiede molto tempo.

Nonostante i buoni propositi di non lamentarmi per le costrizioni e di ringraziare invece il cielo per il mancato contagio, confesso che stavo perdendo un po’ del mio buonumore. Ma siccome sono fermamente convinta che da tutto quello che ci capita, anche se non ci piace, si può ricavare qualcosa di positivo ho cercato il modo di impegnarmi in qualcosa di utile.

Con la prospettiva del mercatino di Natale il lavoro non manca mai, ma il mercatino si farà? Beh, se non questo si farà l’anno prossimo. Ma come procurarmi il necessario se i negozi sono tutti chiusi? Potrei fare della marmellata, ma i barattoli dove li compro? Poi riordinando un cassetto trovo tanti pezzi di stoffa e si accende la lampadina: perché non fare le pantofole di quando ero bambina durante la guerra, le uniche che mi salvavano dai geloni, così morbide e calde?

Ho trovato anche un pacco di Das, un po’ di tela Aida e qualche gomitolo di lana. Fra un lockdown e l’altro ho comprato quello che mi mancava, compresi i barattoli, così ho fatto anche la marmellata con i frutti invernali. E miracolosamente le giornate si sono accorciate e le ore sono tornate di sessanta minuti perfino un po’ scarsi. Tè freddo? Cioccolata con la panna? Pizza? Ho tante cose da fare che mi dimentico persino della loro esistenza. E del lockdown. Una parola proprio antipatica. Preferisco quarantena, ma ben chiusa nel vocabolario.

Scarica larticolo pubblicato sul N. 42 Giugno 2021 di Seguimi News (formato pdf)